Nonostante le attuali difficoltà economiche e gli effetti del conflitto ucraino, l’ecosistema delle startup italiane è in pieno fermento, e in particolare il segmento di quelle dedicate alla digital health. Tuttavia, questo entusiasmo, giustificato dalle indubbie opportunità che l’innovazione digitale sta permettendo di cogliere in misura sempre maggiore, si scontra con alcuni limiti oggettivi e culturali che ostacolano la piena affermazione sul mercato di iniziative imprenditoriali, spesso molto innovative e sostenibili.
Per avere una visione più ampia ed esaustiva della realtà delle startup digitali dedicate al mondo della salute, durante i lavori di Frontiers Health abbiamo avuto l’opportunità di porre qualche domanda in proposito al Dottor Fabrizio Conicella, CEO di Life Science District, la prima iniziativa verticale nel Life Science in grado di individuare, selezionare, certificare e sviluppare le migliori startup nei settori biotech, medtech e digital health.
Nelle sue risposte ai nostri quesiti, il Dottor Conicella ha voluto sottolineare come la componente del life science nell’ecosistema delle startup italiane sia di enorme importanza, soprattutto per due motivi. Il primo è che si tratta di iniziative impegnate nel soddisfacimento di bisogni umani basici, e che generalmente comunicano molto bene questa loro mission. Il secondo motivo risiede nella potenziale estensione del loro mercato a livello globale, e quindi queste progettualità sono potenzialmente in grado di mettere in atto percorsi di scalabilità.
Questa crescente importanza, che si è rafforzata nel corso degli ultimi anni con la nascita di nuove iniziative di imprenditorialità nell’ambito della salute digitale, si accompagna a tutta una serie di criticità che, in molti casi, sono frutto di problematiche già presenti in passato e non ancora risolte.
In particolare, Conicella ha posto l’accento sull’aspetto delle regole:
In Italia manca un quadro normativo adeguato che consenta di “mettere a terra” questo potenziale, sia dal punto di vista del rimborso, sia dal punto di vista della cultura sanitaria. Ad esempio, i progetti del PNRR, e quelli alla base delle altre linee di finanziamento oggi attive, sono concepiti ancora secondo modelli gestionali antiquati. I temi della standardizzazione e dell’interoperabilità, fondamentali per implementare qualsiasi politica di rimborso, si scontrano tuttora con una concezione “sconnessa” che in passato ha caratterizzato lo sviluppo delle applicazioni digitali.
Occorrerebbe, ad esempio, adottare strumenti di innovative public procurement da parte della pubblica amministrazione, tenendo comunque presente la complessità del sistema sanitario italiano, costituito nella pratica da venti differenti sistemi sanitari regionali. Il nuovo impianto regolatorio, quindi, deve puntare ad allineare verso l’alto gli standard e uniformare alcuni criteri di identificazione ed usabilità dell’innovazione.
Inoltre, Conicella ha riconosciuto sì che l’insieme di norme sulle startup adottato nell’ultimo decennio è stato formulato in modo intelligente e ha stimolato la crescita della loro numerosità, ma questi provvedimenti non sono stati concepiti in modo sistemico.
In pratica, non si è lavorato in parallelo né sull’anello precedente della catena del valore, il technology transfer, né sullo step successivo, vale a dire l’aumento dimensionale delle imprese. La conseguenza di ciò, è che oggi in Italia c’è un numero molto elevato di startup ma non ci sono misure in grado di aiutare la crescita, mentre a monte il technology transfer è ancora molto inefficiente.
Tuttavia, accanto alle criticità di tipo regolatorio, Conicella ha individuato altri ostacoli da dover affrontare e superare per favorire uno sviluppo sano dell’ecosistema delle startup italiane del life science.
Occorre innanzitutto favorire l’implementazione di percorsi di scalabilità: il contesto italiano su tale aspetto risulta essere alquanto difficoltoso, non tanto per una carenza di fondi, che in realtà sono disponibili, ma per la mancanza di investitori, soprattutto esteri. Conicella evidenzia anche che la propensione al rischio in Italia non è paragonabile a quella che caratterizza i paesi anglosassoni.
Il nostro è un sistema difficile per crescere, in quanto non permette di fare scala. Quando ciò è avvenuto si è trattato di un caso eccezionale ed estremamente complesso. Se analizziamo l’evoluzione degli unicorni italiani (per così dire, poiché noi non ne abbiamo) il salto dimensionale lo hanno fatto al di fuori del nostro paese.
Ma soprattutto, nelle startup italiane c’è carenza di managerialità evoluta, poiché spesso sono realtà fondate da soli ricercatori: l’assenza di competenze manageriali non permette di gestire variabili critiche per lo sviluppo d’impresa come il go-to-market, il business development o la strategia come variabili critiche per il loro sviluppo.
Quando queste startup si affacciano su altri mercati non nazionali si “piantano”, poiché in questi mercati spesso la valutazione da parte degli investitori valuta la qualità del team, la gestione del go-to-market e la strategia come due elementi particolarmente importanti. Da un certo punto di vista questi aspetti sono considerati più importanti della tecnologia di partenza, che rappresenta una barriera all’entrata ma che, nel contempo, è anche un elemento di rischio: se il team è di qualità, la tecnologia si può sempre cambiare.
Oltre a quanto fin qui riportato, Conicella ha messo in evidenza altri fattori e problemi di cui tener conto e che devono essere affrontati:
- il problema culturale della classe medica italiana, nel senso che in Italia non abbiamo ancora medici, infermieri ed operatori socio-sanitari 2.0. Ciò perché il percorso formativo di queste figure professionali, che è intenso e difficile, non integra ancora la componente digitale, la quale può rappresentare un elemento di opportunità per la creazione di nuove professionalità in ambito sanità;
- la mancanza di grossi attori nazionali: con la presenza quasi esclusiva di imprese medio-piccole il mercato italiano rischia di diventare importatore netto di soluzioni digitali. Anche se non si è dichiarato essere un fan degli unicorni, Conicella ha sostenuto che l’esistenza di campioni nazionali è funzionale per attrarre intorno a loro innovazione, risorse e per favorire la creazione di ecosistemi evoluti;
- un po’ di fortuna, intesa come la capacità di combinare ed armonizzare tutte le singole opportunità che sono già presenti e che via via si genereranno in futuro. Questa capacità di creare sistema è particolarmente importante per far sì che il nostro sistema sanitario, ad oggi uno dei migliori al mondo, possa ascendere ad un livello superiore rispetto a quello attuale.
Un po’ di fortuna ci vuole perché è l’elemento che ci può aiutare ad amalgamare tutti i punti che le ho elencato (cultura, risorse, educazione, opportunità), naturalmente aggiungendo in più quel minimo che basta di creatività italiana.
Questa diversità di approcci da lui esposta, Conicella l’ha attribuita anche a Frontiers Health, riconosciuto come luogo dove differenti tipologie di diversità (culturale, imprenditoriale, geografica) si tramutano in valore, interazione, costruzione di elementi di innovazione.
Tutto ciò mi fa riassumere l’esperienza che ho vissuto a Frontiers Health 2022 con una sola parola: #stimolante