di , 30/11/2022

Uno dei tanti ambiti delle scienze della vita che può ottenere enormi benefici dall’innovazione digitale è quello della ricerca clinica. Non è quindi un caso che numerose sessioni di Frontiers Health 2022, che si è tenuta a Milano il 20 e 21 ottobre, hanno affrontato questo tema.

Uno in particolare, intitolato Innovation in Clinical Research, ha visto fra i suoi relatori il Professor Gualberto Gussoni, Direttore Scientifico di FADOI, Società Scientifica di Medicina Interna, al quale abbiamo posto alcune domande a margine dei lavori della conferenza.

Professor Gussoni, potrebbe condividere con noi il suo punto di vista sull’attuale evoluzione della ricerca clinica in Italia? E più in generale, in che modo l’innovazione possa contribuire a migliorarne l’efficienza per quel che riguarda la qualità degli studi clinici che vengono realizzati?

Il tema della situazione della ricerca clinica in Italia è particolarmente complesso e articolato, come in generale in tutta Europa, anche se l’Italia ha delle proprie peculiarità rispetto agli altri paesi. In primo luogo, l’innovazione digitale potrebbe migliorare l’accesso alla sperimentazione coinvolgendo così un maggior numero di pazienti, grazie alla diminuzione degli oneri (economici e temporali) derivanti dalla partecipazione agli studi.

Altro grande tema è quello dell’opportunità offerta dalla raccolta di dati in tempo reale dai dispositivi indossabili, o comunque tramite tecnologie digitali: ciò permetterebbe al paziente di permanere nella tranquillità e abitudinarietà della propria vita quotidiana, senza che la presenza di medici o infermieri possa essere una fonte di agitazione o preoccupazione. Va anche detto che quello appena esposto è un tema che sicuramente genera potenziali vantaggi, ma nel contempo presenta degli svantaggi che devono essere conosciuti.

Infatti, tutte le innovazioni tecnologiche presentano uno o molteplici lati positivi, ma nel contempo c’è anche un lato oscuro della luna che va conosciuto, gestito e governato, in modo che si sia coscienti che nel bilancio costi-benefici di una qualsiasi tecnologia che si andrà ad utilizzare siano presenti maggiori aspetti positivi rispetto a quelli negativi.

Infine, concentrando l’attenzione solo sugli aspetti della qualità della ricerca, il solo fatto che sia possibile raccogliere in modo automatizzato i dati clinici del paziente riduce di molto gli errori banali che possono essere compiuti nella trascrizione dei dati nell’apposita scheda raccolta. Questa è un’azione che attualmente è effettuata da un medico o infermiere, e in quanto umani possono sbagliare. In ottica digital, se si è verificato che il dispositivo che raccoglie quel dato funziona bene quel dato è qualitativo: in tal modo il controllo della qualità del dato viene fatto a monte e non a valle, e ciò permette di ridurre i costi e accelerare i tempi degli studi.

Ad inizio 2021 è stato pubblicato il volume “Terapie Digitali, una opportunità per l’Italia” da lei curato. Rispetto a due anni fa, in ambito italiano sono stati fatti passi avanti sulle digital therapeutics? O meglio: l’attenzione è ancora posta solamente sulle caratteristiche degli algoritmi oppure si è iniziato a discutere di ambito regolatorio e rimborso?

La situazione dell’evoluzione delle terapie digitali in Italia è sicuramente migliorata: seppure non sia coinvolto in tavoli istituzionali, dalle informazioni in mio possesso sembra che ci sia la volontà, di almeno di una parte delle istituzioni, di procedere ad una sorta di allineamento rispetto al percorso messo in atto da altri paesi o di seguirne uno proprio. Quindi, a mio parere, rispetto a due anni fa qualche segnale positivo c’è, anche se bisognerebbe muoversi con maggiore celerità su questa strada.

Nelle scorse settimane il dibattito pubblico è stato animato da un confronto sulle tempistiche di attuazione del PNRR. Prendendo in considerazione la sola Missione 6 Sanità del Piano, da cittadino informato sui temi relativi alla digital health, secondo la sua opinione quale parte di tali progettualità stanno effettivamente rispettando le scadenze previste, e quali invece sono già in ritardo?

Riguardo la mia percezione da cittadino sul rispetto delle tempistiche di completamento del PNRR, mi pare che attualmente si stia dando priorità alla riorganizzazione dell’assistenza territoriale, e alla sua eventuale integrazione con l’assistenza ospedaliera, mentre c’è meno attenzione per tutto ciò che sottostà questa organizzazione: vale a dire digitalizzazione e organizzazione del personale.

La Missione 6 prevede che la digitalizzazione debba essere un fattore strutturale in questo schema, e mi sembra di vedere grande impegno da parte delle istituzioni, in particolare da parte di Agenas che ha avuto il compito di gestire questo settore. Occorre però superare quell’inerzia tipica di questo paese e ciò non sarà facile, tenuto conto anche dei tempi molto stretti concordati per raggiungere gli obiettivi presenti nel Piano.

Uno dei fattori determinanti per rendere possibile l’innovazione digitale in ambito life science è quello delle competenze. Secondo la sua opinione come deve essere affrontata questa criticità che non riguarda solamente l’industria, ma anche gli attori principali del sistema salute, vale a dire medici e pazienti?

Purtroppo non c’è la bacchetta magica per affrontare e risolvere un tema come quello delle competenze e della formazione, soprattutto dopo che da qualche decennio la scuola è stata sempre all’ultimo posto fra le priorità del nostro paese.

A mio avviso la questione va affrontata su due piani:

  • uno più immediato, di breve medio termine, il cui scopo sia di offrire delle opportunità di formazione a chi è già inserito nel mondo del lavoro, o è in procinto di entrarvi, per fornire loro un upgrade in termini di conoscenza di quelle che sono le dinamiche di carattere tecnologico e innovativo che stanno caratterizzando il mercato. Tutto questo significa organizzare master, corsi, formazione continua che, tuttavia, non dovrebbero richiedere costi e attività organizzative particolarmente impegnativi, poiché rivolti ad un settore numericamente contenuto;
  • l’altro, invece, è rivolto a quei casi dove è necessario partire da una assenza (o quasi) di competenze digitali. Questo sforzo strutturale ha dimensioni enormi e per compierlo occorre partire dalla scuola materna e accompagnare le nuove generazioni lungo tutta la loro carriera formativa. Inoltre, tale impegno deve essere indirizzato anche verso coloro che sono entrati nella terza età: infatti, affinché i pazienti più anziani possano avvicinarsi in maniera positiva e costruttiva all’innovazione, devono avere un minimo di competenza digitale o essere assistiti da qualcuno in grado di supportarli in tal senso.

E’ ovvio che tutto ciò richiede tempo, ed è altrettanto ovvio che l’uso della tecnologia in parte diventerà abitudinario, perché con il passare del tempo le persone si abituano ad utilizzare questi strumenti. Detto ciò, lo Stato e le istituzioni devono però fare la loro parte per governare e potenziare questo meccanismo, altrimenti non si otterranno risultati degni di nota.

Qual è la sua opinione su eventi dedicati alla digital health e all’innovazione digitale in sanità come Frontiers Health?

Per un ecosistema di digital health non molto ramificato come quello italiano, manifestazioni come Frontiers Health rappresentano importanti occasioni di confronto con realtà che hanno già fatto un percorso che noi stiamo iniziando, o abbiamo intrapreso soltanto in parte. Ciò consente a coloro che operano in questo ambito nel contesto italiano di prendere coscienza sia dei risultati positivi che sono stati ottenuti da altre esperienze più avanzate che delle criticità che queste ultime hanno dovuto affrontare.

Inoltre, eventi di questa portata, che non sono così comuni, sono preziosi appuntamenti che danno la possibilità a tutte le persone “del fare” di riunirsi e confrontarsi. In tal modo è possibile analizzare i problemi e le possibili soluzioni in modo chiaro, netto, definito, e con una modalità maggiormente esperienziale rispetto a quanto avviene in altri consessi. Sono sicuro che alcuni dei partecipanti italiani che hanno preso parte a questa manifestazione, hanno sicuramente recepito qualche segnale utile che, in seguito, spero possa tradursi in ulteriori iniziative di innovazione digitale nell’ambito delle scienze della vita.

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