Quando la salute delle donne si da per scontata, allora qualcosa va inevitabilmente male
Nel Marzo del 1947 in Italia veniva approvato dall’Assemblea Costituente l’Articolo 3 della Costituzione:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Quella segnò solo la prima tappa di un cammino lungo e faticoso per la reale affermazione della parità di genere.
A seguire c’è stata la legge del 1950 sulla tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri, nel 1963 furono approvate le norme che vietano il licenziamento in caso di matrimonio e a sostegno della maternità per le lavoratrici agricole… fino alla legislatura più recente a sostegno di maternità e paternità, diritto alla cura e alla formazione, parità di genere nell’Arma e le tanto discusse quote rosa.
La salute femminile, però, è stata presa come un “dato di fatto”. La percezione è che la donna sia più attenta al proprio benessere e a quello della famiglia rispetto agli uomini.
Eppure, nel 2017, le statistiche di Public Health England mostravano che l’uomo medio trascorre il 20% della sua vita in cattive condizioni di salute. La donna il 25%.
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Perché questa disparità di genere?
[Disparità di ricerca] significa che le donne non sono trattate in modo appropriato o che una condizione trattabile può diventare cronica. Sebbene le donne accedano ai servizi di assistenza primaria più frequentemente degli uomini, soprattutto a causa delle loro esigenze riproduttive, c’è un pregiudizio intrinseco nel sistema sanitario che inizia prima ancora che le donne abbiano ricevuto una diagnosi
Le ragioni? Una tra tutte: la cura della famiglia è di intralcio alla partecipazione agli studi clinici.
È solo dal 1993 che le donne possono accedere agli studi di ricerca e nonostante ciò la maggior parte dei risultati ed intuizioni riflettono le esigenze dei soli uomini.
Basti pensare che in molti casi, una soluzione di cura elaborata per gli uomini non si traduce per le donne. I farmaci contro l’AIDS, ad esempio, sono stati sviluppati per il trattamento degli uomini gay. E in Africa la maggior parte della popolazione bisognosa di cure è di sesso femminile.
Alcune malattie sono percepite come proprie solo degli uomini: prevenzione, ricerca e sviluppo di nuovi farmaci o interventi sugli stili di vita, fanno tutti riferimento al corredo genetico degli uomini.
E poi c’è la percezione che le donne provano il dolore in modo del tutto diverso.
Alle donne con condizioni di dolore cronico viene diagnosticata una patologia di origine psicologica o psicosomatica.
Il risultato? Alcune condizioni trattabili diventano croniche perché non trattate per tempo o non riconosciute affatto.
Allo stesso tempo, le donne hanno evidentemente esigenze sanitarie specifiche che riguardano fertilità, gravidanza e menopausa, e che richiedono soluzioni specifiche.
Anche in questo caso, i pregiudizi possono influenzare la salute femminile.
Attualmente, ci vogliono in media sette anni per la diagnosi dell’endometriosi, una condizione comune che colpisce circa 170 milioni di donne in tutto il mondo.
Perché? A molte donne viene detto che il dolore è psicologico o tutto nella loro mente.
Ma qualcosa sta già cambiando
Fortunatamente, gli atteggiamenti nei confronti della salute femminile si stanno trasformando, guidati da un’ondata di medici donne, esperte di tecnologia e attiviste.
La Food and Drug Administration statunitense ha finalmente approvato il primo farmaco per l’endometriosi, mentre Frost & Sullivan ha prevedisto che il mercato femtech crescerà fino a 50 miliardi di sterline entro il 2025.
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Mentre le donne rappresentano circa il 70% del personale sanitario, solo il 30% sono dirigenti di livello C e solo il 13% degli amministratori delegati.
E nonostante le soluzioni più innovative ai problemi di salute femminile, dal trattamento di fecondazione in vitro alla riprogettazione dello speculum, provengano da operazioni guidate da donne, solo il 9% delle aziende di healthtech sono attualmente fondate da donne.