di , 10/04/2025

Una misura radicale, una motivazione chiara

Il 2024 si è chiuso con un segnale forte dall’altra parte del mondo. L’Australia ha approvato una legge che vieta l’accesso ai social media ai minori di 16 anni.
Una mossa che, oltre a segnare un primato globale, pone al centro del dibattito pubblico una domanda cruciale: come possiamo proteggere la salute mentale degli adolescenti nell’era digitale?

Alla base della norma — l’Online Safety Amendment (Social Media Minimum Age) Bill 2024 — c’è un principio semplice ma potente. I danni legati all’uso precoce dei social sono ormai documentati, e spetta alle piattaforme – non alle famiglie – farsi carico della sicurezza dei più giovani.

Cosa prevede la nuova legge?

La nuova legge prevede che l’età minima per l’uso dei social media salga a 16 anni. Saranno le piattaforme a dover impedire ai minori di aprire un account.
Tuttavia, il divieto non include YouTube, app di messaggistica e videogiochi online. Verranno sperimentate tecnologie di verifica dell’età, senza l’obbligo di usare un’identità digitale governativa.

Inoltre, la legge impone forti tutele per la privacy, stabilendo che i dati raccolti per verificare l’età non possano essere riutilizzati né conservati, se non previo consenso esplicito.
Infine, sono previste sanzioni fino a 49,5 milioni di dollari australiani per le piattaforme che non rispettano le regole.

Perché a 16 anni?

Una crescente mole di studi dimostrano come l’uso precoce dei social media possa aggravare condizioni come ansia, depressione, bassa autostima e insoddisfazione personale.
Secondo una ricerca britannica, le ragazze tra gli 11 e i 13 anni e i ragazzi tra i 14 e i 15 sono particolarmente vulnerabili agli effetti negativi delle piattaforme sociali.

Benefici attesi… e dubbi aperti

I benefici attesi dalla nuova legge includono, inoltre, una minore esposizione a contenuti inappropriati o dannosi, e un possibile contributo alla prevenzione del disagio psicologico giovanile.

Tuttavia, non mancano le criticità, tra cui le difficoltà tecniche ed etiche nella verifica dell’età, il rischio che i ragazzi cerchino vie alternative meno sicure e il possibile impatto negativo sulla socializzazione e sull’acquisizione di competenze digitali.

Nel dibattito in corso, molti esperti sottolineano l’importanza di approcci complementari. L’educazione alla cittadinanza digitale per sviluppare senso critico e responsabilità online. Il dialogo familiare per guidare i giovani nella gestione della propria presenza digitale. E una maggiore trasparenza e impegno da parte delle piattaforme nella protezione dei minori.

In Italia resta una sfida aperta

In Italia, il Digital Services Act (DSA), entrato in vigore il 17 febbraio 2024, rappresenta un passo significativo verso la regolamentazione dei servizi digitali. Questo atto legislativo impone obblighi di trasparenza e responsabilità alle piattaforme online, ponendo particolare attenzione alla protezione dei minori. Tuttavia, a differenza dell’Australia, non esiste ancora un divieto esplicito per l’uso dei social media sotto una certa età.

Secondo i dati raccolti da Save the Children in occasione del Safer Internet Day, il 13,5% degli adolescenti italiani di età compresa tra 11 e 15 anni fa un uso problematico dei social media. Questo dato è preoccupante, soprattutto considerando che l’uso eccessivo dei social media può avere conseguenze negative sulla salute mentale e sul benessere generale dei giovani.

Una legge che fa scuola

L’iniziativa australiana è più radicale di quelle già viste in Francia o in alcuni stati USA (dove si parla di consenso dei genitori, non di divieto). Ed è proprio questa radicalità a renderla un caso studio internazionale, che potrebbe ispirare o spaventare altre nazioni.

Ma una cosa è certa: la tutela della salute mentale degli adolescenti è entrata a pieno titolo nell’agenda della regolazione digitale.