Nelle scorse settimane sulla rivista Nature Communications è stato pubblicato un articolo dal titolo “Tomography of memory engrams in self-organizing nanowire connectomes” nel quale i ricercatori dell’INRiM e del Politecnico di Torino hanno riportato come il processo di consolidamento della memoria umana possa essere emulato con successo anche in nanodispositivi artificiali.
Molti dei device di uso quotidiano sono dotati sia di memoria che di spazio di archiviazione artificiali, e dunque parlare di dispositivi tecnologici in grado di memorizzare dati e informazioni, almeno in apparenza, non sarebbe classificabile come un argomento innovativo.
La memoria artificiale implementata fino ad oggi non è mai riuscita ad emulare il funzionamento di quella umana, anche perché quest’ultima è un ambito neurologico ancora in fase di studio che solo negli ultimi anni è stato oggetto da importanti scoperte.
Dal punto di vista neurobiologico è stata postulata, fin dal secolo scorso, l’esistenza di microcircuiti neurali specifici che fungessero da substrato e traccia per la memoria. Grazie agli enormi progressi delle tecniche di neuroimaging degli ultimi dieci anni, tali unità fondamentali, chiamate engram dal biologo tedesco Richard Semon nel 1921, sono state finalmente mappate in vivo in alcuni laboratori, tra cui quello del premio Nobel Susumu Tonegawa al MIT.
Il paper pubblicato su Nature Communications descrive come il processo di consolidamento della memoria da breve a lungo termine alla base dell’engram possa essere emulato con successo anche in substrati artificiali. Per ottenere tale risultato, i ricercatori dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM) e del Politecnico di Torino hanno utilizzato connettomi di nanofili (nanowires) memresistivi, cioè reti connesse su scala nanometrica (la stessa delle sinapsi biologiche) che mostrano le tipiche funzioni neurali come il comportamento emergente e le plasticità a breve e lungo termine.
La novità principale del lavoro è proprio l’aver mostrato sperimentalmente la dinamica nascosta che, partendo da input esterni spazio-temporali, permette a variazioni locali ma reversibili nella rete (l’analogo della memoria operativa nel cervello) di causare modifiche fisico-chimiche permanenti (l’analogo della memoria a lungo termine). Tale misurazione è stata possibile grazie ad un approccio sia teorico che sperimentale basato sulla tomografia di resistenza elettrica, una tecnica sviluppata in INRiM che consente una mappatura quantitativa delle proprietà elettriche della rete sia su scala locale che globale.
In aggiunta all’aspetto neurobiologico, la possibilità di mappare il comportamento emergente del sistema apre nuovi scenari per l’implementazione in materia di nuovi paradigmi computazionali ad alta efficienza energetica in grado di processare e memorizzare l’informazione nello stesso substrato fisico
Ha dichiarato Gianluca Milano, Ricercatore dell’INRiM del gruppo Advanced Materials & Devices e responsabile del progetto MEMQuD che ha in parte finanziato la ricerca. La prossima sfida sarà aumentare la complessità del sistema, connettendo tra loro diversi nanodispositivi e engram.
In questo modo speriamo di poter affrontare uno dei maggiori misteri della cognizione, il cosiddetto “binding problem”: cioè come proprietà dello stesso oggetto associate a diversi stimoli ed esperienze (ad esempio forma, colore, posizione, etc. …), si associno tra loro nel nostro cervello costituendo una rappresentazione unificata, cioè l’idea stessa dell’oggetto.
Ha dichiarato Carlo Ricciardi, Professore del Politecnico di Torino e PI del gruppo NaMeS.