di , 12/10/2017

L’intelligenza artificiale non evolve autonomamente dagli umani, è il frutto dei progetti umani.

Intelligenza artificiale, reti neurali e Big Data stanno rivoluzionando tutti i settori produttivi. Accanto alle tante opportunità di sviluppo, emergono anche tanti dubbi e domande sugli effetti che questi nuovi sistemi avranno sul nostro sistema economico. Le principali preoccupazioni nell’applicare estensivamente queste innovazioni riguardano la riduzione dei posti di lavoro. Cerchiamo di analizzare benefici e rischi che l’introduzione di queste tecnologie può avere, in particolare nel settore farmaceutico, e vediamo perché queste perplessità non sono coerenti con il concetto stesso di sviluppo economico.

Intelligenza artificiale e sviluppo economico

Recentemente Accenture ha pubblicato una ricerca su dodici settori economici, rilevando che l’utilizzo dell’intelligenza artificiale all’interno dei loro processi potrebbe raddoppiare i tassi annuali di crescita economica nel 2035, modificando la natura del lavoro e creando una nuova relazione fra l’uomo e la macchina. In generale, le tecnologie di intelligenza artificiale porteranno fino al 40% di aumento nella produttività del lavoro.

In particolare, in ambito farmaceutico si stima che l’utilizzo di appropriati metodi di deep learning sarà in grado di ridurre dell’80%-85% i costi per la scoperta di nuovi farmaci entro il 2018. Inoltre, tutto il processo di ricerca e sviluppo potrà essere velocizzato, passando da 10-15 anni a 2-3.

Le spese da sostenere per sviluppare un nuovo medicinale diventano sempre più proibitive e raddoppiano ogni nove anni. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale a sostegno dello sviluppo di un nuovo farmaco potrebbe rendere più sostenibile l’ammontare della spesa. I costi totali di R&S potrebbero essere abbattuti del 15-30%, laddove si stima che il costo complessivo per lo sviluppo di una medicinale non supererà i 2,5 miliardi di dollari.

L’intelligenza artificiale per il settore farmaceutico

Nonostante ciò, le nuove tecnologie vengono spesso accolte con diffidenza, ipotizzando ogni sorta di impatto negativo che queste possono produrre.

Certamente sottovalutare una tecnologia è un errore quanto sopravvalutarla: per interpretarla correttamente occorre senso storico. Come ricorda lo scrittore Bruce Sterling, una buona regola per guardare dieci anni avanti è ricordare trenta anni indietro.

Per valutare l’impatto di una tecnologia è necessaria la conoscenza e coscienza di ciò che si sta applicando ed il relativo funzionamento; dunque la domanda è d’obbligo: come funziona l’intelligenza artificiale?

Alla base di questa tecnologia ci sono reti neurali artificiali, ossia modelli matematici informatici di intelligenza, così chiamati perché simulano i processi di pensiero del cervello umano. Queste reti neurali sono in grado di confrontare grandi quantità di dati per estrarne conoscenza e operare decisioni all’interno di certe logiche codificate. Questo avviene già in finanza, quotidianamente, ma non solo. Sempre più spesso l’intelligenza artificiale viene usata per individuare interconnessioni significative alla progettazione di nuovi farmaci, nell’archiviazione dei dati e in molte altre attività.

In ambito di R&S farmaceutico l’utilizzo di queste metodologie può essere estremamente utile: gli essere umani, da soli, non possono analizzare tutto il sapere scientifico a disposizione. I ricercatori hanno quindi l’opportunità di lavorare seguendo un metodo che prende in considerazione molte più correlazioni, costa di meno e fa impiegare meno tempo.

Le metodologie di deep learning sono particolarmente appropriate per effettuare operazioni su grandi librerie di informazioni scientifiche. Questo metodo consiste nel far apprendere a un sistema, composto da neuroni artificiali, le relazioni tra input e output. Se ipotizziamo che l’input sia una molecola, ad esempio, e l’output gli effetti che essa ha su un determinato target, la rete neurale sarà in grado di generalizzare e apprendere i meccanismi di questa correlazione. Per semplificare, si potrebbe pensare a un bambino che apprende da esempi. Più ne riceve, più è in grado di fare classificazioni corrette anche su esempi che non ha osservato. Allo stesso modo, una rete che ha appreso che una molecola è efficace contro il mal di testa e un’altra contro i dolori mestruali sarà in grado di prevedere, senza fare una prova, l’effetto di una terza molecola che ha caratteristiche simili alla prima e alla seconda.

Partendo dall’analisi di big data (milioni di molecole, dati genomici, proteine e informazioni scientifiche di vario tipo), queste piattaforme di apprendimento automatico sono in grado di ipotizzare ex novo (e di visualizzare) composti che hanno una struttura simile a quella di molecole affini ma studiate magari per altri fini.

A queste reti si può chiedere, sulla scorta di queste informazioni, di generare ipotesi di molecole, completamente nuove, idonee per aggredire specifici target biomolecolari, e che possono essere candidate alle sperimentazioni.

Essendo in grado di fare classificazioni e di avere capacità predittive su efficacia e altri parametri di determinati principi attivi, queste macchine possono essere utilizzate anche per guidare i ricercatori nella progettazione degli esperimenti in laboratorio o per il drug repurposing, ovvero la scoperta di nuove possibili applicazioni cliniche di medicinali già circolanti.

Il livello di precisione potenzialmente raggiungibile attraverso queste piattaforme è dunque elevatissimo. Ed è per questo che negli ultimi anni la quantità di startup che mette a punto tecnologie di questo tipo è aumentata, così come è cresciuto il numero di grandi aziende farmaceutiche e di fondi di venture capital pronte a scommettere sulle innovazioni introdotte da queste realtà.

Cb Insights, uno dei più autorevoli siti specializzati in investimenti in capitale di rischio su società Hi-Tech, ha calcolato che tra il 2011 e il 2016, gli investitori hanno puntato complessivamente 1,5 miliardi di dollari sulle nuove imprese che lavorano su piattaforme di intelligenza artificiale a sevizio dell’healthcare. Tra le 106 startup più promettenti individuate, nove si dedicano allo sviluppo di algoritimi di machine learning per ridurre tempi e costi della drug discovery, e sei di queste hanno già chiuso un primo importante round di finanziamento.

La connessione tra intelligenza artificiale, big data e healthcare sta coinvolgendo attori provenienti da diversi settori: aziende farmaceutiche, startup, che uniscono informatica e scienza, università, colossi hi-tech.

Intelligenza artificiale e capitale umano

L’accelerazione dei processi produttivi è il valore aggiunto che ci si aspetta dall’intelligenza artificiale. In poco tempo si potrebbe passare da processi lunghi diversi anni ad altri che richiedono una durata significativamente più breve, ottenendo risultati altrettanto sicuri.

Chi gioca sul terreno dell’innovazione, in finanza così come in sanità, non può ignorare il fattore “tempo”. Riuscire a trovare soluzioni in maniera più rapida vuol dire dare valore a ciò che è stato prodotto, sia esso un oggetto, un servizio, o un farmaco. Le nuove tecnologie possono aiutarci a creare un ambiente in cui fare ricerca e realizzare un’impresa è più semplice, dove la concentrazione di competenze e progetti faccia guadagnare tempo e quindi contribuisca a generare nuove opportunità. L’introduzione di nuove tecnologie non si traduce necessariamente in una contrazione del mercato del lavoro. Sicuramente sarà opportuno ripensare le competenze e i ruoli all’interno dei processi produttivi, ma non ci si deve far ingannare dall’espressione Intelligenza Artificiale. Le reti neurali non sono un sostituto dell’intelligenza umana, semmai un suo potenziamento capace di arricchire i processi creativi, il vero valore aggiunto del capitale umano.