La prima influenza, una rovinosa caduta, il primo raffreddore, la prima visita medica, un consulto, la prima terapia antibiotica. Quando raccontiamo la nostra vita non è certamente una di queste l’esperienza che ricordiamo prima di ogni altra. Eppure anche questa è una storia.
La storia di un paziente, o meglio di una persona prima ancora che di un paziente. La storia di una persona e di un’altra persona, il suo medico.
Decenni di prescrizioni e terapie, di farmaci, di lunghe attese in ambulatori o studi medici, di numeri a memoria del nostro turno ci hanno abituato a considerarci di volta in volta più come patologie o casi clinici che individui, minando la nostra capacità di raccontarci e allo stesso tempo di farci ascoltare. Ma nulla è perduto. Non nell’era della digital health.
Social media e applicazioni stanno ridefinendo il rapporto e rinnovando il dialogo tra medico e paziente, tra due persone che ricominciano a condividere e raccontare storie. E il digitale è la nuova lingua con cui lo fanno, il nuovo linguaggio della salute.
Una salute fatta di connessioni e conversazioni, attraverso strumenti e soluzioni di condivisione di contenuti medici e dati clinici; device per la gestione della pratica clinica, in una modalità semplice e per certi versi più “umana”; piattaforme di trattamento e monitoraggio dei pazienti; attraverso immagini e video.
Video, avete letto bene: la più immediata e coinvolgente modalità di comunicazione, anche quando il suo contenuto ha a che fare con la salute.
La ragione dell’efficacia di questo, come degli altri ritrovati tecnologici che trovano applicazione nell’healthcare, è presto detta:
la nostra salute è influenzata da variabili alcune delle quali hanno poco o nulla a che vedere con quelle biologiche. Fra queste, o meglio prima fra queste, la tecnologia, che sta evidentemente influenzando la medicina, trasformando radicalmente e irreversibilmente il settore sanitario.
Le startup salute protagoniste del cambiamento
Fautrici di questa rivoluzione, che per molti era attesa da alcuni anni, sono le startup che, manco a dirlo, con strutture snelle e idee innovative, sono in grado di evolvere più rapidamente di qualsiasi altra realtà imprenditoriale, per soddisfare le esigenze quanto mai mutevoli del mercato della salute.
Una cifra del tipo quattro miliardi di dollari in termini di investimenti in startup al servizio dell’healthcare può sicuramente essere sufficiente a chiarire la portata di un cambiamento di cui saremo spettatori e insieme protagonisti per i prossimi dieci anni. Quella stessa cifra corrisponde a dire che soltanto nello scorso anno la quota di investimenti nella digital health ha superato il totale di quelli dei tre anni precedenti, con il risultato di una diffusione di soluzioni innovative e low cost per le cure mediche, senza per questo ledere l’autorevolezza e l’affidabilità da cui un settore come quello sanitario non può assolutamente prescindere. In questo senso la condivisione di dati, informazioni e contenuti a carattere medico-scientifico attraverso canali di comunicazione digitali sta a significare l’esigenza di semplificare l’interazione con i sistemi healthcare, velocizzare diagnosi e terapie, lasciando in ogni caso che a farlo siano fonti accreditate, in grado di gestire pazienti e patologie.
La differenza sta allora tutta in una parola: personalizzazione.
Il core di strategie disruptive, che combinano efficacemente innovazione e creatività in un’offerta che è unica, ma soprattutto adattiva, e che alcuni a ragion veduta hanno azzardato a definire “improvvisazione”. Vale a dire la capacità di cogliere, meglio ancora sarebbe anticipare, le tendenze che, ad un ritmo sempre più incalzante, stanno caratterizzando il mercato della salute, quindi di sperimentare l’innovazione per calarla nella realtà della pratica clinica.
Emergere dalla straordinaria convergenza di salute, marketing e tecnologia, dalla rivoluzione che sta interessando la prevenzione e la cura è una sfida che difficilmente aziende di grandi dimensioni potranno essere in grado di vincere. La digital health chiede esperienze e coinvolgimento, ha bisogno di innovazione e connettività. Negli Stati Uniti e in Europa se ne sono resi conto. E voi?