Uno studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Neurology, ha permesso di acquisire delle importanti evidenze che dimostrano come l’utilizzo di alcuni dispositivi, collegati allo smartphone, sono in grado di segnalare alcuni sintomi premonitori dell’ictus. Lo studio è stato realizzato da un gruppo di ricercatori del Policlinico Campus Bio-Medico di Roma, con il supporto della Fondazione ANIA (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici).
L’approccio adottato consiste nell’utilizzare dispositivi diagnostici portatili connessi allo smartphone del paziente per monitorare la frequenza cardiaca e altri parametri vitali in modo continuo.
Questo monitoraggio costante consente di individuare più efficacemente la possibile causa dell’ictus, e quindi procedere mettendo immediatamente in atto le corrette terapie di prevenzione. Ciò è confermato dai dati raccolti durante lo svolgimento dello studio, che hanno rilevato segnali di fibrillazione atriale e aritmia cardiaca come cause potenziali di ictus.
“Il numero di fibrillazioni atriali riscontrate nel gruppo dei pazienti oggetto dello studio è notevole. La fibrillazione atriale è un “killer silenzioso” perché spesso è asintomatica, il paziente può non accorgersi fino a quando non si manifestano le sue catastrofiche conseguenze che possono portare fino a un’embolia cerebrale. Altrettanto notevoli sono i dati raccolti sulla misurazione della pressione arteriosa, che ci permettono di avere un quadro dell’andamento dei valori pressori nella vita quotidiana. Raccogliere dati nella quotidianità è essenziale per programmare interventi di prevenzione personalizzati. L’utilizzo delle nuove tecnologie apre nuovi scenari per la prevenzione degli eventi cerebrovascolari, nell’ambito della cosiddetta medicina di precisione.” – Vincenzo Di Lazzaro, ordinario di neurologia, direttore dell’Unità di neurologia presso il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico e responsabile dello studio
Un approccio innovativo che migliora non solo la compliance e la soddisfazione dei pazienti, ma ottimizza la gestione delle fasi successive alla dimissione dall’ospedale.
Lo studio ha coinvolto 161 pazienti, 87 nel gruppo di studio, 74 nel gruppo di controllo. Il reclutamento è avvenuto fra pazienti che avevano avuto un attacco ischemico transitorio (TIA Transient Ischemic Attack) o un’ischemia cerebrale con sintomi lievi (minor stroke). Su questo campione, poi, è stata valutata la fattibilità dell’utilizzo delle nuove tecnologie nella prevenzione secondaria degli eventi cerebrovascolari.
I pazienti sono stati monitorati per un mese utilizzando uno smartwatch di ultima generazione, in grado di registrare l’elettrocardiogramma e dispositivi collegati attraverso i quali misurare la pressione arteriosa e la saturazione di ossigeno nel sangue. Questi dispositivi interagivano via bluetooth con uno smartphone fornito dai ricercatori, sul quale venivano registrati i dati raccolti nel mese di osservazione.
Al paziente veniva richiesto di indossare il più possibile lo smartwatch per la registrazione continuativa di vari parametri, come frequenza e variabilità del ritmo cardiaco, movimento, passi, etc., e di eseguire almeno un paio di volte al giorno la misurazione della pressione arteriosa, la valutazione della saturazione di ossigeno e la registrazione dell’elettrocardiogramma. Questi dati venivano integrati con la “classica” valutazione clinica per avere un quadro più dettagliato e preciso dello stato di salute globale del paziente e per poter personalizzare le decisioni terapeutiche.
Nel gruppo di studio sono stati identificati 9 episodi di fibrillazione atriale contro i 3 identificati nel gruppo di controllo.
“Quando il paziente torna alla sua vita normale il rischio di recidiva è più alto. Cercavamo un approccio che non fosse solo efficace ma anche facilmente attuabile da tutti i pazienti, a prescindere da età, alfabetizzazione digitale o scolarizzazione. Questi strumenti permettono di monitorare in continuo e senza sforzo molti parametri fisiologici o misurare un vero e proprio elettrocardiogramma con un dito. Con il nostro studio abbiamo verificato se questo approccio fosse applicabile all’ictus, una patologia che colpisce all’incirca 200 mila italiani ogni anno. I risultati ci confermano che le nuove tecnologie possono rappresentare un valore aggiunto nel seguire questi pazienti anche al di fuori dell’ambiente ospedaliero e per periodi prolungati”. – Francesco Motolese, neurologo del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico e co-autore dello studio.