Cosa ho imparato in quattro mesi di uso sistematico di poche ma buone app per monitorare alimentazione, attività fisica, assunzione di acqua, sonno e umore
Come in molte occasioni della mia vita, anche nell’adozione di self-tracking tool sono arrivata tardi, superando la strenua resistenza al cambiamento di abitudini. Ma forse non troppo tardi, a pensarci bene. Come late adopter ho l’opportunità di poter valutare e scegliere tra un’ampia offerta di app e tracker a uno stato di completamento avanzato, startup salute in costante aumento, visualizzatori di dati e a poter riflettere su cosa c’è dopo.
Quattro mesi di uso “diligente” e sistematico di poche ma buone app, input costante di dati su alimentazione, attività fisica, assunzione di acqua, sonno, umore.
L’uso personale, il testing e lo studio di cosa si dice in giro sull’argomento si è intrecciato inevitabilmente con l’interesse professionale e le riflessioni sull’utilizzo di questi strumenti mi portano a ragionare in maniera più ampia su cosa il Quantified self significhi nell’attuale ambito dell’e-Health.
Quando con orgoglio mostro ad amiche e amici i miei dati su calorie bruciate e ore di sonno accumulate, invece degli attesi sguardi di stupore e degli applausi di incoraggiamento, ricevo prevalentemente occhiate scettiche e smorfie dubbiose. Del tipo: “Che bisogno c’è di spendere impegno nel self-tracking se non devi dimagrire o se non sei una sportiva “seria”? O se non hai una patologia da tenere sotto controllo? O se non smetti di fumare?”.
Per fortuna sono sufficientemente motivata da sola da non abbandonare il mio tracking “diligente” di calorie assunte, anche senza raffinate tecniche di gamification e il supporto da parte della mia rete di amici e conoscenti.
Lo scetticismo della mia community non virtuale è probabilmente legato al fatto che non ho un obiettivo rilevante (per loro?) del tipo perdere 5 kg, o aumentare la mia perfomance sportiva del tot %, o ridurre l’assunzione di grassi saturi. Non sento ancora la necessità di aprirmi ad una delle community virtuali delle app e tracker che uso, dove certamente sarei più supportata e gioirebbero tutti del mio obiettivo raggiunto di 5.500 passi giornalieri. Forse per aprirmi a quello avrò bisogno di un obiettivo condiviso e per me davvero sfidante.
Ma serve davvero un obiettivo rilevante, o meglio condiviso, perché la community, virtuale e non, supporti la tua attività o si motivi essa stessa ad intraprendere o a migliorare il self-tracking?
Un obiettivo rilevante non potrebbe essere il monitoraggio esso stesso? E’ un impegno, e averlo fatto costantemente per quattro mesi è da considerarsi per me già un successo e un obiettivo raggiunto.
Il monitoraggio dei dati di questi quattro mesi, anche senza avere un obiettivo rilevante e condiviso, ha portato alcuni piccoli cambiamenti. Il risultato più rilevante è la consapevolezza. Ad esempio, ora so che dormo molto meno di quello che pensavo e, soprattutto, di quello di cui ho personalmente bisogno. Ora che so che dormire 6 ore e 40 non è sufficiente per sentirmi riposata, sento l’urgenza di avviarmi a dormire un po’ prima. Oppure, tramite i contenuti personalizzati che le app mi propongono, so che è meglio ridurre gli zuccheri inutili. E banalmente, dallo yogurt magro alla frutta sono passata allo yogurt intero che ha solo pochi grassi in più ma non ha zuccheri aggiunti. Oppure, mancano pochi passi per raggiungere il mio obiettivo giornaliero, quindi magari vado a piedi a prendere il caffè anziché in macchina. Quindi la conoscenza dei miei dati, la consapevolezza delle mie abitudini reali, mi ha spinto a modificare dei comportamenti e a influenzare le mie decisioni.
E questo è solo positivo. Ma c’è anche un altro aspetto da tenere in considerazione.
Ora che so che andare a cena in quel ristorante a mangiare quella cosa che mi piace mi costa 1000 calorie, il piacere di andarci si è ridotto di un bel po’. Anche se si tratta di andarci una volta ogni tanto. E magari qualche volta ci rinuncio.
Cos’è quindi che provoca davvero il cambio di abitudini?
La soddisfazione di vedere che il trend del tuo sonno è migliorato, oppure il disagio di aver mangiato dei dolci di troppo? Gli effetti positivi del cambiamento, oppure l’esasperazione della mania di controllo? Il riconoscimento di essere usciti dalla comfort zone di cui sto leggendo in giro e la normale ansia che questa cosa provoca? Entrambe le cose.
Mangiare meno zuccheri mi fa sentire bene e male allo stesso tempo? Forse questo è il prezzo della consapevolezza.
Ebbene, quattro mesi di dati. E ora che succede? Leggo e faccio test di grafici e tabelle in vari formati, per capire in che modo la visualizzazione dei dati possa aiutarmi nell’interpretazione e nel valutare i next step.
Al momento quello che ho visto finora è valido a livello di visualizzazione ma non mi aiuta nell’interpretazione dei miei dati, né mi indica come individuare lo step successivo.
Ad esempio, che benefici ho per aver bilanciato l’assunzione di carboidrati, proteine e grassi per un tempo prolungato? Come posso evincere un collegamento tra quello che mangio, come dormo ed il mio umore? E magari anche dove vivo? E il tipo di lavoro che faccio? E il meteo? E i cicli ormonali? E le mie allergie?
Potrei continuare ovviamente questa lista e ci vorrà forse tempo per avere il quadro completo di dati aggregati rilevanti per me. Ma nel frattempo quello che (mi) manca è interpretare quello che vedo al momento.
Le vie percorribili per il supporto all’interpretazione dei dati che vedo sono tre:
– Crowdsourced o community
– Community di esperti
– Interpretazione automatizzata
Al livello in cui mi trovo al momento, la community di esperti è quella che consulterei per supportarmi. L’interpretazione automatizzata è (e sarà) anche una opzione valida per me, assumendo che nel frattempo mi vengano proposti contenuti educazionali rilevanti per supportarmi nella lettura dei miei dati.
Quindi, al di là della community virtuale e non, delle tecniche di gamification e di social sharing, la motivazione è data dalla lettura e dall’interpretazione “intima” ed individuale del dato. La motivazione, nei casi come il mio, è generata dalla intimità del dato e non da elementi di apertura esterni. Il dato oggettivo registrato dai trackers consente in modo individuale e personalizzato, a seconda di come lo si usa, di dare il senso di motivazione che più si confà alla persona.
Pubblicato precedentemente su ninjamarketing.it