Non riesco a chiamarlo desiderio, neanche speranza o obiettivo, non mi piace viverla come un’illusione. Un’immaginazione può inverarsi o può comunque essere da stimolo, senza che il suo non diventare realtà ne affievolisca la forza. Può essere una fantasia, ma anche diventare un progetto. Al centro della mia immaginazione c’è la casa digitale della salute.
Il PNRR parla sia di “Case della Comunità” che di “Casa come primo luogo di cura e Telemedicina”, considerandoli come due obiettivi e due filoni di spesa distinti, anche se interrelati.
Il percorso è progressivo e la data ultima è il 2026. I due filoni rispondono ad uno stesso obiettivo ma sembrano procedere su binari paralleli. Perché? Perché il 2026? Perché non possiamo costruirle subito digitalmente? Perché la casa come primo luogo di cura non può avere come riferimento la casa digitale della salute? Lo slittamento semantico da salute a comunità sembra solo voler nascondere le esperienze variegate delle case della salute.
Ma i nomi non sono interessanti in questo momento. La priorità è avere il coraggio di utilizzare le tecnologie per costruire non nuovi muri, ma nuove culture organizzative e relazionali nella cura.