Il gioco è un’attività fondamentale che caratterizza la natura umana (e non solo). Attraverso di esso adulti e bambini compiono un’attività ricreativa che permette lo sviluppo di un sfera cognitiva personale, della personalità ed anche, nel caso dei bambini e degli adolescenti, di esercitare un ruolo primario nell’evoluzione affettiva ed umana della persona. Il gioco quindi può rappresentare un’attività di semplice svago dove entrano in campo la fortuna (giochi d’azzardo) e/o la competitività. Ma esso può avere anche una valenza didattica, permettendo così di apprendere tematiche anche complesse in modo creativo e facilmente intuibile dalla mente umana.
Ciò a cui stiamo assistendo oggi è l’impiego del gioco anche come mezzo in grado di rendere più efficace e diretta la propria strategia comunicativa. In realtà non si tratta di una vera e propria novità, poiché tale pratica era utilizzata già in passato, ma l’avvento dell’informatica e dei videogiochi, nonché la diffusione di internet e una connessione alla rete sempre più veloce, hanno permesso di superare i limiti imposti dalla carta stampata e favorito una sua più ampia diffusione. Infine, la nascita e la diffusione dei social network sta rappresentando il volano per questa nuova tipologia di comunicazione, utilizzata soprattutto per far conoscere le caratteristiche di un prodotto, per presentare un’azienda o per informare il pubblico sulla rilevanza di un dato fenomeno o settore.
Anche il pharma ha intrapreso questa strada, che a mio parere rappresenta un ottimo metodo per comunicare dati o informazioni di una certa rilevanza permettendo al giocatore di apprenderli e memorizzarli più facilmente, soprattutto per ciò che riguarda i dati e le caratteristiche dell’ambito pharma o offrendo informazioni su una determinata patologia. Riportando una mia esperienza personale, nei giorni scorsi cliccando un link inserito in un tweet sono stato reindirizzato su di un post caricato su Lillypad (il blog ufficiale di Eli Lilly) il cui contenuto era un semplice gioco chiamato Destination Discovery. A ben vedere si tratta del buon vecchio giro dell’oca (con tanto di lancio del dado) da svolgere in solitario: ogni volta che ci si ferma su un casella al giocatore viene mostrata una domanda riguardante il processo di ricerca di un farmaco (ad esempio il numero di ricercatori che negli USA lavorano in R&S, o le finalità della ricerca clinica, o ancora il numero di molecole che vengono prese in considerazione all’inizio del processo di ricerca, etc…). Per poter proseguire il gioco è necessario rispondere correttamente alle domande poste; in caso di risposta errata viene evidenziata l’opzione corretta e per ogni risposta si ha la possibilità di approfondire l’argomento attraverso un link.
Ma questo è solo un esempio. Altre iniziative simili sono segnalate dal Digital Pharma Blog curato da Oscar Lambrughi: da Boehringer Ingelheim, la prima a lanciare un gioco su Facebook (Syrum), a Sanofi, per giungere fino a Pfizer con il suo EVO. Quest’ultimo è un progetto del tutto particolare che rappresenta il futuro di questo settore: lo sviluppo di giochi in grado di svolgere una funzione diagnostica e terapeutica in alcune determinate patologie degenerative cognitive quali, ad esempio, il morbo di Alzheimer, L’ADHD, l’autismo e la depressione.
Simile a Neuroracer, un precedente game impiegato per testare, attraverso una sperimentazione condotta su un gruppo di persone anziane, se un gioco di abilità possa essere in grado di migliorare la memoria a breve termine, la capacità di svolgere più attività contemporaneamente e a far mantenere un duraturo grado di attenzione (ottenendo dei risultati estremamente positivi), EVO sfrutta le potenzialità dei dispositivi mobili (smartphone e tablet) per individuare in persone sane i primi sintomi di Alzheimer, sottoponendoli ad un semplice gioco, soggetto ad un graduale aumento della difficoltà, dove un alieno deve evitare, attraverso il movimento e l’inclinazione del dispositivo mobile, degli ostacoli posti lungo un corso d’acqua. Sviluppato da Akili Interactive Lab, Pfizer sta effettuando un test clinico per verificare se questa metodologia di diagnosi possa raggiungere gli obiettivi prefissati.
Un altro progetto di game terapeutico, al quale sta collaborato Johnson & Johnson, è Plan It Commander: sviluppato da Healthy Solution, il gioco è un gestionale rivolto ai bambini affetti da disturbo dell’attenzione e ha come obiettivo quello di affiancarsi alla terapia tradizionale concentrandosi principalmente sugli aspetti relativi alla gestione del tempo e alle interazioni sociali. Johnson & Johnson effettuerà degli studi clinici a riguardo e in base ai risultati ottenuti potrebbe utilizzarlo per sviluppare esperienze simili anche per l’Alzheimer e la schizzofrenia. Altri progetti di gaming stanno facendo ricorso alla tecnologia 3D come Virtual IRAQ (gioco virtuale il cui scopo è permettere il superamento del disturbo post-traumatico da stress sofferto dai reduci della guerra in Iraq) o come Snow World (game 3D che viene fatto giocare ai grandi ustionati nel momento in cui vengono cambiati loro i bendaggi, riducendo la loro percezione del dolore).
In conclusione, è facilmente intuibile che l’utilizzo dei giochi in ambito pharma troverà una sempre maggiore applicazione, soprattutto per quanto riguarda l’ambito comunicativo e informativo, mentre per quel che riguarda il settore diagnostico terapeutico ci si trova di fronte ancora a delle sperimentazioni che richiederanno ulteriori verifiche che ne sanciscano la reale efficacia. Sicuramente ciò favorirà delle nuove strategie comunicative sempre più mirate e creative che favoriranno la formazione di nuove figure professionali e apriranno a nuove possibilità di collaborazione fra il mondo pharma e il mondo IT.
Questo articolo è stato pubblicato originariamente su MioPharmaBlog il 19 Luglio 2014.