La febbre è tra i sintomi più comuni della maggior parte delle infezioni virali, COVID-19 incluso.
Diventa, dunque, fondamentale misurarla in tempo per determinare la giusta somministrazione della terapia.
I termometri ad uso domestico sono spesso imprecisi e restituiscono delle informazioni non sempre corrette, questo a causa della qualità dei dispositivi. Il loro costo può variare dai 15$ ai 300$ che genera, ovviamente, una scarsa offerta nelle aree del mondo più sfortunate.
Dati questi presupposti, un team di ricercatori dell’Università di Washington ha realizzato un’app chiamata FeverPhone, che trasforma lo smartphone in un termometro senza alcuna necessità di un hardware esterno aggiuntivo.
L’applicazione sfrutta il touchscreen del device e i sensori di calore preesistenti sulla batteria per misurare la temperatura corporea dell’utente.
FeverPhone: dai test alla pubblicazione dei risultati
37 i pazienti inclusi nei test dell’app FeverPhone che ha ottenuto risultati degni di nota.
La precisione dell’applicazione ha, infatti, raggiunto quella di molti termometri in commercio, con una differenza media di circa 0,41 gradi Fahrenheit (0,23 gradi Celsius).
Il funzionamento dell’applicazione è molto semplice. I termometri tradizionali utilizzano dei sensori noti come termistori per effettuare una stima della temperatura corporea. I termistori sono presenti anche all’interno della batteria degli smartphone, da cui l’idea di poter realizzare un’applicazione che potesse trasferire questa funzione dalla batteria all’essere umano.
Diversi i modelli di smartphone utilizzati per simulare diverse temperature, attraverso la misurazione delle stesse su sacchetti di plastica. Il team di ricerca ha, inoltre, introdotto delle periferiche dedicate per cambiare la pressione sullo schermo per ottenere dati più precisi.
In accordo a quanto dichiarato da Joseph Breda, sviluppatore di FeverPhone, i pazienti con febbre superiore ai 101.5 F (38.6 C) non erano idonei al test perché la temperatura era facile da diagnosticare e poiché la pelle sudata avrebbe potuto alterare i risultati.
I risultati sono stati pubblicati il 28 marzo all’interno della rivista Proceedings of the ACM on Interactive, Mobile, Wearable and Ubiquitous Technologies.