di , 22/01/2025

La discriminazione razziale e di genere negli studi clinici è un problema che influisce pesantemente sull’efficacia delle terapie, sulla qualità delle cure mediche e sulla salute pubblica. La sottorappresentazione di determinati gruppi demografici negli studi clinici compromette infatti l’affidabilità dei risultati, portando a diagnosi errate e a trattamenti meno efficaci e acuendo le disuguaglianze nella prevenzione e nell’accesso alle cure.

Discriminazione di genere

Storicamente, le donne sono sempre state sottorappresentate nei trial clinici. Ciò ha portato a una limitata comprensione di come alcune malattie possano presentarsi con sintomi diversi o di come alcune terapie possano influenzare i sessi in modo differente. Nonostante la crescente consapevolezza, gli studi clinici continuano a coinvolgere prevalentemente uomini. Secondo la Fondazione Veronesi, l’80% dei partecipanti ai trial clinici sono uomini, e solo la metà degli studi considera le peculiarità di genere.

Qualche esempio:

  • Le donne in età fertile sono spesso escluse dagli studi clinici a causa del timore di potenziali danni al feto in caso di gravidanza. Questo porta a una mancanza di dati su come i farmaci influenzano le donne in questa fascia di età, limitando la generalizzabilità dei risultati.
  • Un ambito in cui lo squilibrio di genere è particolarmente evidente riguarda le malattie cardiovascolari. I sintomi dell’infarto, ad esempio,  differiscono tra uomini e donne,  ma sono spesso trascurati nelle linee guida diagnostiche e terapeutiche. Invece dei tradizionali dolori al petto e al braccio, le donne riportano ansia, dispnea e dolori addominali. Sintomi spesso definiti “atipici” e trascurati sia dalle pazienti stesse che dai medici, portando a diagnosi ritardate o errate.
  • Le differenze biologiche influenzano anche la risposta ai farmaci. Ad esempio, gli studi sul Long Covid mostrano che le donne hanno il doppio delle probabilità degli uomini di sviluppare la sindrome, ma la scarsa rappresentanza femminile nei trial ha portato a limitata la comprensione di questi fenomeni e a dosaggi o trattamenti non ottimali per le donne.

Discriminazione razziale e Data Health Disparity

Al pari di quelle di genere, anche le minoranze etniche sono spesso sottorappresentate negli studi clinici, il che può portare a una mancanza di dati cruciali per determinare l’efficacia e la sicurezza dei trattamenti in queste popolazioni.
Uno studio condotto su ClinicalTrials.gov ha rivelato che solo il 22% degli studi clinici statunitensi include dati relativi a tutti i cinque principali gruppi etnici, con una netta prevalenza di partecipanti bianchi. Questa sottorappresentanza contribuisce alla “data health disparity”, limitando le possibilità di sviluppare trattamenti efficaci per tutti.

Come per le donne, la risposta ai farmaci può variare significativamente anche tra i gruppi etnici. Ad esempio, alcune terapie oncologiche possono avere efficacia minore nelle popolazioni afroamericane a causa di varianti genetiche non considerate nei trial.

Il ruolo dell’Intelligenza Artificiale e il problema dei dataset non rappresentativi

L’intelligenza artificiale (IA) è una rivoluzione straordinaria per il miglioramento dell’assistenza sanitaria, ma può anche essere una condanna quando i dataset utilizzati per addestrarla non sono inclusivi. Se i dati raccolti non rappresentano adeguatamente la diversità di genere ed etnia, i risultati generati dall’algoritmo di IA potrebbero essere discriminatori e addirittura amplificare le disuguaglianze esistenti, compromettendo un accesso equo alle cure.

I bias nei dataset derivano spesso dalla scarsa rappresentanza di alcune popolazioni nei campioni raccolti.
Ad esempio, i sistemi di rilevazione dermatologica hanno mostrato una ridotta accuratezza nella diagnosi di condizioni cutanee su pelli scure, a causa della limitata presenza di immagini di queste popolazioni durante l’addestramento degli algoritmi.

Questo esempio evidenzia l’importanza di progettare dataset rappresentativi, con un approccio di “diversity and inclusion nella selezione dei campioni per i trial clinici.
Per questa ragione la Commissione Europea ha introdotto nel 2024 il Regolamento sull’IA, che impone l’uso di dataset rappresentativi e diversificati per i sistemi ad alto rischio, come quelli sanitari, ponendo una base normativa importante verso l’equità nella medicina digitale.

Strategie per un futuro di equità e inclusività

L’intelligenza artificiale, se ben implementata, può diventare uno strumento fondamentale proprio per colmare le lacune esistenti a monte del processo.
Grazie alla sua capacità di analizzare grandi volumi di dati, l’IA potrebbe facilmente e velocemente identificare i gap nella rappresentanza e facilitare il reclutamento di partecipanti diversi nei trial clinici.
Ma da solo, questo non basta. Serve un impegno collettivo che preveda:

  • Formazione e sensibilizzazione. Educare ricercatori e professionisti sanitari sull’importanza della diversità nei trial clinici e nell’utilizzo di sistemi di IA inclusivi.
  • Rappresentanza nei trial clinici. Incentivare la partecipazione di donne e minoranze etniche tramite campagne di sensibilizzazione e politiche mirate.
  • Analisi dei dati disaggregati. Raccogliere e analizzare dati distinti per genere ed etnia per sviluppare linee guida cliniche più precise.
  • Collaborazioni internazionali. Lavorare a livello globale per creare dataset rappresentativi che garantiscano equità nei trattamenti.
  • Audit regolari. Monitorare e valutare gli algoritmi per rilevare e mitigare eventuali bias.

Solo così sarà possibile garantire dataset inclusivi, sviluppare trattamenti più efficaci per tutti, ridurre i bias algoritmici e garantire un salute globale più giusta ed equa.


Fonti: