Il rapporto “Sanità Digitale: uno spazio per innovare“, realizzato dall’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano e presentato lo scorso 8 giugno a Milano mette in luce che, nonostante i limitati investimenti in digital health, vengono comunque adottati numerosi progetti legati alla sanità digitale. Esiste tuttavia una scarsa propensione all’utilizzo degli strumenti di digital health da parte dei cittadini/pazienti: una criticità sulla quale occorrerà lavorare
Nel nostro paese la digital health fa fatica ad affermarsi, e gli ostacoli alla sua diffusione non sono solo dovuti a problematiche che rientrano nella sfera istituzionale, organizzativa e medica, ma anche a timori che il cittadino paziente nutre nell’utilizzo delle nuove applicazioni digitali in un ambito così delicato e privato come è quello della salute.
A conforto di tali conclusioni ci sono i dati della ricerca Sanità Digitale: uno spazio per innovare, realizzata dall’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano e presentata lo scorso 8 giugno.
Il convegno di presentazione del rapporto, giunto quest’anno alla sua undicesima edizione e reso possibile grazie al supporto di Artexe, Doxapharma, Engineering, Reply Healthy, Philips, PKE, WHealth e Wolters Kluwer, rappresenta un’occasione utile per fare il punto sulla quale sia la situazione della digital health in Italia e sulle sue prospettive nel prossimo futuro.
Come un po’ di anni a questa parte ne esce un quadro nel quale si alternano luci ed ombre che, tranne in casi riguardanti alcuni progetti specifici, denotano la mancanza di una strategia precisa a riguardo.
Eppure va rilevato che quasi tutti i protagonisti del settore, chi più chi meno, stanno iniziando a comprendere la necessità di utilizzare l’offerta tecnologica ed innovativa della digital health come leva per cercare di garantire la sostenibilità, e quindi la sopravvivenza del sistema sanitario italiano.
È vero che la spesa in sanità digitale sostenuta dai diversi attori del sistema nel 2017 è stata stimata in 1,3 miliardi di Euro (pari all’1,1% della spesa sanitaria pubblica), ma la sua esiguità non deve trarre in inganno: non occorre spendere tanto spendere bene per fare ciò occorre avere ben chiaro quali sono gli obiettivi che si vogliono raggiungere e adottare le soluzione più adeguate disponibili al momento.
Non è più solamente il vertice istituzionale a sottolineare la necessità di adottare delle soluzioni digitali per migliorare la gestione dei pazienti, ma anche i direttori di corpi intermedi, le aziende sanitarie, e gli stessi medici stanno gradualmente valutando ed utilizzando i mezzi messi a disposizione dall’innovazione digitale.
Uno di questi strumenti digitali che inizia a mettere in luce delle possibili opportunità che può offrire è ad esempio il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE): un progetto che ha conosciuto un parto abbastanza complicato, che ancora a fine 2017 era adottato da 17 regioni (entro il 2018 dovrebbe essere adottato da tutte le regioni) ed era disponibile agli operatori sanitari solo in quattro si esse (Provincia Autonoma di Trento, Lombardia, Toscana e Sardegna), viene però già considerato come leva fondamentale per la presa in carico dei pazienti cronici in alcune regioni che hanno adottato delibere in tal senso (Piemonte, Lombardia, Provincia Autonoma di Trento, Lazio e Sicilia).
Le Direzioni Strategiche, da parte loro, considerano la Cartella Clinica Elettronica (CCE) un elemento di innovazione digitale di estrema rilevanza, con una maggiore attenzione rispetto al recente passato dedicata agli strumenti di gestione documentale e sui sistemi di integrazione con quelli regionali e nazionali.
Tuttavia, c’è la consapevolezza che le aree oggi “trascurate” (anche se si tratta di un termine improprio), come la business intelligence e la gestione dei Big Data, saranno quelle sulle quali si dovrà investire nel prossimo futuro.
I medici, invece, hanno un approccio alla digital health abbastanza prudente ma non di chiusura, almeno dalle informazioni emerse dal rapporto: ad esempio, è vero che solo il 9% degli MMG utilizza gli strumenti digitali per redigere un Piano di Assistenza Individuale periodico, ma è anche vero che il 69% sarebbe interessato ad utilizzarli. I dati mostrano che i medici si avvalgono di strumenti digitali principalmente per gestire le attività di CRM, mentre utilizzano molto meno quelli di supporto analitico.
Va comunque sottolineato che sia le regioni che le direzioni strategiche sia hanno dedicato una buona parte della loro attenzione al paziente e ai suoi bisogni: dalla possibilità di scaricare i referti via web, a quella di confermare, ricordare ed eventualmente disdire appuntamenti; dalla prenotazione online delle prestazioni alla possibilità di poter accedere a questi servizi via app (circa un terzo delle aziende offrono questa opportunità).
I medici, invece, fanno ricorso agli strumenti digitali per entrare più facilmente in contatto con i pazienti: ad esempio attraverso WhatsApp, utilizzato (dal 63% dei medici di famiglia e dal 52% degli specialisti) principalmente per scambiare facilmente dati, immagini e informazioni con il paziente.
Il dato della rapporto che lascia abbastanza perplessi è il grado di propensione all’utilizzo di strumenti digitali da parte dei cittadini: dai risultati di un’indagine svolta in collaborazione con Doxapharma emerge che il canale di comunicazione preferito dai pazienti per la prenotazione di visite ed esami è il telefono, e che ben sette pazienti su dieci preferiscono incontrare il proprio medico di persona.
Questa diffidenza nell’utilizzo dei mezzi digitali da parte dei cittadini viene attribuita alla scarsa fiducia di questi ultimi nella sicurezza e nella riservatezza dei loro dati sanitari, oltre che alla loro scarsa cultura digitale.
Entrambi questi aspetti dovranno essere affrontati e in qualche misura risolti per far sì che gli investimenti in digital health effettuati finora e quelli futuri possano rispondere alle aspettative in essi riposte.