Diversity is being invited to the party; inclusion is being asked to dance.
Diversity è essere invitati alla festa, inclusion è essere invitati a ballare. (Vernā Myers)
Così Vernā Myers, fondatrice della Vernā Myers Company, VP Inclusion Strategy presso Netflix e autrice di numerosissimi bestseller, differenzia due dei termini di cui più si sente parlare negli ambienti lavorativi (e non).
Per semplificare, quindi, possiamo dire che se la diversity riporta all’attenzione la vastissima gamma di background diversi propri di ogni persona, ponendo accento sulle discriminazioni sistemiche subite, l’inclusion cerca di passare dai riflettori della teoria alla pratica, agendo capillarmente negli uffici, nelle realtà istituzionali, nelle conferenze, e così via.
Lo scopo che ne deriva è importante: smantellare le discriminazioni e abbattere le barriere per portare equità ovunque, rispondendo a tutte le necessità di ogni persona senza applicare schemi basati su norme preimpostate.
Traslato nel settore specifico della Salute e della Salute Digitale, il discorso sulla diversity e inclusion assume un ruolo non solo importante, ma anche d’avanguardia e apripista per il benessere collettivo mondiale.
Digital Health e Diversity
Parlare di diversity è infatti necessario su più livelli, perché mette in moto una serie di domande che, attivando specifici canali (da quello della ricerca a quelli del design e dello sviluppo), fornisce risposte che si possono rivelare vitali, a maggior ragione in ambito salute.
Queste domande non riguardano solo la diversity nelle sue accezioni più manifeste (come ad esempio l’etnia, se dichiarata da una persona), ma anche quelle meno convenzionalmente visibili, legate ad esempio alle neurodivergenze, ai background economici, alle esperienze di vita, ecc.
Uno dei contenti in cui queste domande non solo risultano necessarie ma anche vitali, è quello della Digital Health. Per definizione, la Digital Health fornisce servizi digitali di salute, che in quanto tali sono rivolti alla popolazione per aiutarla e facilitarla nei percorsi di cura, di gestione, di rapporto con i medici curanti.
Il concetto di “popolazione”, però, è molto ampio e rigido, non rappresentativo delle effettive diverse esigenze di ogni persona. Quando si parla di Salute e Salute Digitale, e si progettano o commercializzano prodotti dedicati, è perciò fondamentale prendere in considerazione tutte le variabili insite nella natura di ogni persona, ragionando per necessità individuali anziché di massa (il rischio, già realtà, è quello di rendere la Salute inaccessibile, antitesi del suo obiettivo).
Digital Health e Inclusion
Per creare un ambiente inclusive, c’è bisogno di consapevolezza, di manifestazione d’intenti, d’azione.
È necessario avere una panoramica il più dettagliata possibile dei muri imposti dallo status quo, di quali siano le norme, gli standard e i bias che imperversano nel settore della salute e dell’innovazione tecnologica; è necessario, insomma, porsi quante più domande possibile, ascoltando quelle degli altri e non fermandosi a risposte collettive di maggioranza.
Essere “invitati a ballare” in un ambiente realmente inclusive significa ritrovarsi in luogo che è stato costruito (o ristrutturato, c’è sempre margine per migliorarsi) su fondamenta inquisitive, inclini a chiedersi se le priorità siano state date all’accessibilità, all’equità, all’etica, ma soprattutto alla consapevolezza di una ricerca che non sarà mai statica, bensì sempre in divenire, come sono le necessità la società stessa.
Quando i team inclusivi contribuiscono a sviluppare soluzioni inclusive
La pandemia da COVID-19 ha confermato a un’ampia fetta di popolazione come gli strumenti di Digital Health siano necessari e, allo stesso tempo, agevolino il rapporto medico-paziente.
La diffusione di strumenti di Digital Health, nel fulcro emergenziale, ha registrato un picco di utilizzo del 109%, esponendo servizi erogati da app, device e piattaforme anche a chi non ne aveva mai fatto uso.
Con un numero così elevato di fruitori e in un lasso di tempo così breve, però, sono emerse diverse e corrispettive problematiche, riassumibili nel concetto di “divario” (gap). Ed è proprio qui che i team, le realtà aziendali, nonché le persone esperte in Diversity & Insclusion, possono offrire le proprie competenze per colmare i divari che tutt’oggi impediscono alla Salute (Digitale e non), di raggiungere l’universalità.
Digital Divide in Healthcare: il divario nell’utilizzo
Accedere ai servizi di Salute Digitale è impossibile, se non si dispone degli strumenti adatti (da una smartphone alla connessione a internet). L’accessibilità tecnica e pratica nel settore della Salute è un fattore determinante per la diffusione di questi strumenti salvavita, ed è per questo che realtà inclusive come l’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno, nel proprio piano dedicato alla diffusione della Digital Health, hanno posto fra gli obiettivi primari proprio quello di colmare questo gap.
Digital Health: quale genere?
Prima dell’emergenza pandemica, le applicazioni di Salute Digitale avevano raramente targhettizzato o implementato la propria offerta includendo le necessità specifiche delle donne. Secondo una ricerca di Rock Health, solo il 3% dei venture capitalist in Digital Health aveva investito, dal 2011 al 2020, in servizi digitali dedicati alla salute della donna, sebbene questa fetta di popolazione sia di fatto quella più incline a utilizzarli.
Design, soluzioni e contenuti pensati per uomini padroneggiano all’interno di app e piattaforme, escludendo dall’offerta una grande fetta di popolazione.
In questo senso, l’implementazione di team di D&I dedicati porta una prospettiva di genere all’interno delle realtà aziendali Healthcare, pensando a soluzioni che già in partenza tengono conto di un bacino d’utenza più ampio e variegato.
Genere e Intelligenza Artificiale
Una delle chiavi principali nello sviluppo di app, device e piattaforme di Salute Digitale è dato dall’utilizzo di Intelligenza Artificiale. Al momento, tuttavia, si stima che solo il 22% di persone professioniste di questo settore siano donne, e la percentuale si abbassa se contiamo persone di genere non conforme, razzializzate e così via.
Questo significa che, a istruire gli algoritmi, ci sono quasi esclusivamente uomini bianchi con il loro background di genere parziale. Il risultato, traslato nel settore specifico della Digital Health, è dato da servizi fallaci, che trattano utenti di ogni identità di genere e background etnico secondo i dati di un’unica, specifica categoria (attentando potenzialmente alla salute delle persone).
Il divario da colmare, anche in questo caso, è dato dalla necessità di includere quanti più professionisti dai background diverse possibile, che possano così istruire gli algoritmi in modalità altrettanto diverse.
Digital Health: il divario academico e di leadership
Nel settore della ricerca accademica le donne e le persone con background etnici differenti da quello occidentale bianco sono sempre state una categoria sottorappresentata.
Di rimando, sui tavoli dei dipartimenti di Ricerca e Sviluppo delle realtà aziendali di Salute e Salute Digitale, arrivano studi e ricerche che tengono in gran parte conto solo di una fetta di popolazione.
La diversity nel settore accademico e aziendale promuove meccanismi di sviluppo circolare: non solo porta in rappresenta le categorie marginalizzate nei paper accademici e di divulgazione alla popolazione, ma promuove leadership inclusive a più livelli aziendali, che a loro volta plasmeranno i design, i contenuti, le tecnologie dei propri prodotti da un punto di vista universale.
L’effettiva messa a terra dei concetti di Diversity & Inclusion nel settore della Digital Health influenza quindi più persone e specifiche condizioni.
Osservando il mondo da una lente diverse e inclusive, il settore della Digital Health può intercettare opportunità e problematiche ancora prima che queste si presentino, abbattendo con la tecnologia le barriere che ogni persona ha incontrato nella propria vita, offrendo servizi e strumenti unici nel proprio genere.